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Savio Anjohn, dal Bangladesh a Brugherio nel seminario dei missionari
«Una volta un nostro professore ci disse: essere figlio di Dio è molto facile quando Dio risponde alla tua preghiera, quando Dio ti mostra il suo favore. Invece è molto difficile quando ci sono tante difficoltà e sfide, e non trovi le risposte. È proprio quello che è successo a me: in certi momenti mi sono sentito solo e abbandonato da Dio. Ma quando mi sono guardato indietro, ho visto che la Sua grazia è sempre stata piena con me e con la mia famiglia. Altrimenti non sarei riuscito ad arrivare fino a qui. La mia vita di preghiera mi ha aiutato a fare questo cammino fino ad ora. Mi ha sostenuto nel non perdere la speranza e mi ha dato sempre la forza di andare avanti». Così Savio Anjon, il seminarista originario del Bangladesh che sta studiando in seconda teologia al seminario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) di Monza e che in questo periodo sta collaborando con la comunità pastorale, racconta l’esperienza della sua vocazione missionaria.
«All’inizio del mio cammino pensavo che mi sarebbe bastato avere la volontà di diventare prete. Ma dopo ho capito che la vocazione non è così. Ho capito che la vocazione è un dono di Dio, che dipende dalla volontà di Dio. Tante volte mi sono sentito perso ma il buon Dio mi ha ritrovato. Sono stato disperato, ma Lui mi ha ridato la speranza. Avevo molti dubbi e Lui mi ha fatto un miracolo. Per tutto questo, io credo che la mia vocazione sia veramente un miracolo e un dono per me», continua il futuro missionario.
Trentuno anni, nato a Rangpur, ma cresciuto a Dinajpur, nella zona a nord ovest del paese situato nel delta del fiume Padma, che nasce dalla confluenza del Meghna con il Gange ed il Brahmaputra, Savio è da tre anni in Italia. Nato in una famiglia cattolica, «mio papà voleva diventare prete» racconta, fin da bambino è stato affascinato dalle figure dei padri missionari italiani della sua parrocchia. «Appena potevo scappavo in parrocchia ad aiutare», ricorda nella testimonianza che ha raccontato ai fedeli brugheresi in una recente celebrazione. «Mia mamma fu felice quando gli dissi che volevo diventare prete, ma restare in seminario era costoso per la mia famiglia. Oltre a me, che sono il più piccolo, i miei genitori dovevano badare anche a mio fratello ed alle mie due sorelle, che ora sono tutti sposati. All’inizio la possibilità di diventare sacerdote mi faceva paura e mi domandavo: “Perché voglio essere un prete? Per avere una vita comoda oppure perché voglio proprio sacrificare tutta la mia vita?” Pensavo: “Se la vita missionaria è così difficile e ci sono così tante sfide, allora la vocazione missionaria è più bella”. E così ho deciso di diventare un missionario del PIME».
Nel 2013, però, in pochi giorni, una tragedia: i genitori di Savio scompaiono entrambi. La loro mancanza e le conseguenti difficoltà familiari e finanziarie hanno fatto vacillare la sua scelta, costringendolo ad abbandonare il seminario. Un periodo complicato in cui ha cercato di affrontare questi problemi, pensando anche al matrimonio, ma alla fine il desiderio di diventare missionario ha prevalso ed è riuscito a riprendere gli studi di filosofia. Dopo due anni è stato inviato a Monza per completare il percorso di teologia.
L’arrivo in Italia non è stato facile. «In Bangladesh tutti tifano Italia a calcio, ma soprattutto per noi cristiani è il paese dove tutti sono santi! È il paese del papa e dei nostri missionari, per cui si pensa che tutti siano cosi. Ma a Settimo Milanese, in occasione del mio primo servizio durante il fine settimana, durante le funzioni del Giovedì santo vedo che molti ragazzi dell’oratorio continuavano a giocare. Per me è stato uno shock: da noi in quella occasione c’è una grande Messa ed è un momento molto importante per la comunità a cui tutti partecipano! Ho avuto il dubbio, se quello fosse un momento importante per i ragazzi, se fossero o no cristiani».
Il Bangladesh, che dopo l’indipendenza dell’India nel 1947 e fino al 1971 era unito con il Pakistan, l’89% della popolazione è musulmana principalmente sunnita, il 10% indù e buddista e solo l’1% cattolica. Fino a pochi anni fa i fedeli delle differenti religioni condividevano il reciproco rispetto. Ma negli ultimi anni il fondamentalismo sta prendendo sempre più piede, per favorire un ritorno del paese sotto il controllo del Pakistan. Così ad esempio, caduto il governo, tra poco ci saranno nuove elezioni. Nell’università più importante del paese, nella capitale Dacca è stato festeggiato l’anniversario del padre fondatore del Pakistan, ma non di quello del Bangladesh. Anche le comunità cristiane incominciano a temere, quando gli viene offerta protezione da parte di gruppi musulmani in cambio di scelte in base ai loro interessi o voti. Così Savio spera che, il nostro paese possa sempre essere un esempio di fede e per il suo augura pace e rispetto.