C’era anche il gruppo Alpini di Brugherio ad aiutare le popolazioni alluvionate della Romagna. È accaduto dal 25 al 29 maggio quando ValterBarazzetta, uno dei sei brugheresi formati per compiti di Protezione civile, ha risposto alla chiamata del gruppo ANA di Milano.
«Ho incontrato tante persone rassegnate ad aver perso quasi tutti i propri oggetti – racconta Barazzetta -, ma allo stesso tempo guardavano al futuro con la voglia di ricominciare».
Il volontario brugherese è stato inserito nel gruppo di alpini partiti da Milano. L’organizzazione è infatti molto articolata: in casi come questo non può essere il singolo alpino a darsi da fare, ma neppure il singolo gruppo locale. Il tutto è coordinato a livello nazionale e quantomeno provinciale.
«Ci hanno mandati a Forlì – spiega Barazzetta – quando l’emergenza più drammatica era già passata. Il salvataggio delle persone è infatti affidato ai vigili del Fuoco o corpi simili che sono formati per farlo nel modo corretto. C’era però ancora fango dappertutto, e noi eravamo incaricati della rimozione». Il volontario, insieme a decine di colleghi, dormiva nel palazzetto del basket di Forlì e, dopo la svegli alle 7, la colazione e il briefing giornaliero, andava sul campo.
«Ci hanno affidato un quartiere: principalmente svuotavamo le cantine da acqua e fango». Il lavoro consisteva nel rimuovere la maggior parte dell’acqua, tramite pompe. Le quali però si fermano quando l’acqua finisce e si arriva al livello del fango che è di 20, 30 centimetri. «Lo spalavamo e caricavamo su carriole a motore quando possibile, oppure su carriole a mano in caso di cantine più piccole. In casi estremi facevamo una catena umana con secchi da muratore». Mediamente, per liberare una cantina dal fango, servono un paio di giorni di lavoro di una squadra di volontari.
Tutto quello che viene toccato dal fango, secondo l’esperienza di Barazzetta, «è da buttare. Si salvano magari i piatti e cose del genere, ma gli armadi di legno si gonfiano e così anche molti pavimenti. E gli elettrodomestici, inservibili con le schede elettriche distrutte. Senza contare che il fango arriva dai fiumi ma anche dalle fogne, non si sa cosa contenga. Tanto che le persone alluvionate stanno ricevendo delle vaccinazioni specifiche per evitare malattie». A pranzo, poi, «l’organizzazione ci portava un panino, acqua e sali minerali: indispensabili sotto il sole caldissimo di quei giorni. Un giorno è arrivata anche un’associazione di camionisti che distribuiva pane e porchetta».
Tanti gli incontri e i gesti di solidarietà: «Un ristoratore ci ha offerto la pizza a cena, molte persone ci offrivano il caffè. Ho visto anche tanti giovani impegnarsi come volontari, più ragazze che ragazzi». E però non mancano anche gli episodi deprecabili, dice Barazzetta, «come la necessità di soldati a presidiare i depositi delle auto giorno e notte per evitare che gli sciacalli staccassero i pezzi per rivenderli».
Ha fatto impressione, continua, «vedere le cataste di cose al bordo delle strade. Sembrano montagne di spazzatura, ma se le guardi da vicino sono bambole, giocattoli, cartoline, libri, oggetti di uso quotidiano. Pezzi di vita portati via dal fango. Ricordi. E le tante persone incontrate ce l’hanno detto: l’alluvione ha fatto tanti danni materiali, ma il dolore più forte è stato perdere oggetti a cui erano legati a livello affettivo, più che economico».
E tutti quelli che ha incontrato «guardavano al futuro. Erano rassegnati, sconfortati magari, ma nessuna delle persone che ho incontrato si era lasciata andare. Avranno la forza di ripartire».
Anche grazie ai volontari. «Il consiglio per chi vuole aiutare è di non partire per conto proprio. Ho visto diverse persone che a mezzogiorno non sapevano dove andare a mangiare o la sera dove andare a dormire. Chi vuole aiutare, si rivolga a un’associazione. Oppure – conclude – faccia una donazione a un’associazione consolidata come ANA Milano oppure la Croce Rossa. Diffidando di piccole raccolte fondi di associazioni nate magari da poche settimane».