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Nello Scavo, inviato in Ucraina, racconta la guerra vista da Kiev: «L’esercito russo è un elefante senza cervello»
Se la foto non è venuta bene, significa che non eri abbastanza vicino. Questa frase di Robert Capa, forse il più celebre fotografo di guerra della storia, ha dato il via alla serata in consiglio comunale con Nello Scavo, giornalista di Avvenire inviato per sei mesi in Ucraina. Tantissimi i presenti, oltre un centinaio. Arrivati ad ascoltare una testimonianza iniziata alle 21 e terminata poco prima delle 23.30. Scavo non si è risparmiato, raccontando la propria esperienza nel Paese invaso dalla Russia tramite aneddoti e ricordi che, spesso, sembravano usciti dalla trama di un film.
Come quando, ha detto, lui e i colleghi del Corriere della Sera e di Repubblica si sono trovati in situazione di pericolo. Con i russi entrati in città, sparatorie dovunque. I tre giornalisti si sono quindi recati all’ambasciata italiana nel centro di Kiev, trovandola chiusa. L’ambasciatore si era infatti trasferito nella sua residenza privata, a qualche chilometro di distanza, considerata più sicura. «Abbiamo chiamato l’ambasciata – ha ricordato Scavo – che ci ha detto avrebbe inviato un furgone bianco.
Si sarebbe avvicinato a noi a porte aperte, rallentando, ma senza fermarsi. E noi avremmo dovuto salire in movimento». Peccato che il furgone, quando è arrivato, si è fermato a un centinaio di metri. Il guidatore ne è sceso ed è scappato via dopo aver spezzato la chiave nel blocchetto di accensione. Poteva essere una trappola e i giornalisti sono stati invitati telefonicamente dall’ambasciata a non avvicinarsi fino all’arrivo dei rinforzi: «Quattro marcantoni italiani – dice il giornalista – alti 1.90 e con spalle enormi, che ci hanno visto e hanno detto una frase veramente da film: “Questa situazione non ci piace per niente”». Saliti sul fuoristrada, che doveva viaggiare non troppo veloce per non sembrare in fuga e non troppo lento per non sembrare in perlustrazione, sono stati portati alla villa dell’ambasciatore. «Che per l’occasione era diventata un centro di accoglienza per gli italiani a Kiev».
Scavo ha fatto propria l’indicazione di Capa, letteralmente: «In una zona di guerra, mentre i civili scappano, il giornalista deve andare al contrario, puntando verso le colonne di fumo anziché allontanarsene». Naturalmente, per quanto possibile in sicurezza «ma per molti colleghi la guerra in Ucraina è stata un biglietto di sola andata», ha detto Scavo.
Essere vicini per fare metaforicamente una foto migliore, ha aggiunto, «non vuol dire necessariamente vicino a dove si spara, ma vicino alle persone, ai sopravvissuti, ai feriti. Glielo dobbiamo. Così come non possiamo dimenticare le colonne di donne, bambini e anziani profughi che abbiamo visto lo scorso anno».
Molte le sollecitazioni e le domande provenienti dal moderatore Ermanno Vercesi e dal pubblico. Tra queste, la fatidica domanda: quando finirà la guerra? «Non faccio previsioni sulla durata – è la risposta di Scavo – perché ne ho fatta una sola e l’ho sbagliata». Vale a dire la previsione di caduta rapida di Kiev, città che invece ha resistito. «Nei primi giorni sapevamo di colonne di carri armati russi in arrivo, vedevo una città disorganizzata. Per citare un esempio, la polizia usava i coni dei cantieri stradali come megafoni. Ho scritto che Kiev sarebbe caduta, c’era solo da capire come: reagendo o senza reagire».
E invece «abbiamo visto una città che voleva resistere, giovani che preparavano le bottiglie Molotov negli scantinati. Ci chiedevamo cosa potessero fare contro i carri armati, per poi scoprire che le fiamme costringevano i guidatori a chiudere gli spioncini e rallentare. Dando così il tempo agli specialisti di uscire allo scoperto e colpirli con i cannoni». Quello di Mosca si è dimostrato, secondo il giornalista, «un esercito muscolare, un pachiderma senza cervello».
Nella tragedia della guerra, però, ci sono stati anche «momenti di grande bellezza, come l’ambasciatore che suona il piano, con la musica che ci ha riportati a un’umanità che non può essere solo violenza». Oppure, «con i bambini che uscivano dai bunker truccati dalle mamme per carnevale, sembrava davvero di essere nel film “La vita è bella”. Gli ucraini hanno mostrato risorse umane sorprendenti».
La fine del conflitto con un accordo a brevissimo termine e la pace, ha concluso, «è il mio grande sogno, così come credo di tanti. Ma guardiamo alla realtà: Putin ha partecipato a una ventina di guerre. Nessuna di queste si è conclusa con un negoziato equilibrato anche per la controparte». Nello Scavo ha raccolto la sua esperienza di guerra in un libro di successo, “Kiev”, edito da Garzanti, 160 pagine, 15 euro. Ma non è finita: «Ho in programma di tornare in Ucraina – ha anticipato – tra la fine di aprile e inizio maggio. Quando il terreno sarà asciutto dopo le piogge invernali, tornerà a compattarsi e consentirà agli eserciti di muoversi».
Filippo Magni