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La riflessione di don Vittorino: Usciremo, ma come, da questo tempo?
Riportiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal parroco, don Vittorino Zoia, durante la Messa di domenica 15 marzo. Si può vedere anche cliccando qui (dal minuto 16’30”).
Buona domenica a tutti. Questa grande pagina evangelica che abbiamo letto è attraversata dal segno dell’acqua, indispensabile alla vita e segno però di qualcosa di più grande, di più profondo, di fondamentale per la nostra vita. Noi abbiamo una sete di vita a tutti i livelli: da quello biologico al livello, diciamo così, morale, intellettuale, spirituale. Questo aggettivo non deve sembrare qualcosa di campato per aria, di astratto, bensì indica la profondità del nostro essere uomini e donne in questo mondo e in questo tempo.
Se avrete la possibilità di andare in Terra Santa, andrete nei territori palestinesi, a Nablus , dove c’è ancora il pozzo di Giacobbe. Io ho avuto la grazia, la fortuna di andare con diversi di voi, e mi ha impressionato molto, attorno quel pozzo, di ascoltare questa Parola del Signore, rivivere nell’oggi questo incontro con Lui. È un pozzo dove si attinge anche oggi. L’abbiamo bevuta quell’acqua fresca, buona, che in abbondanza viene data, e che ancora una volta ci richiama a quel bisogno della nostra vita.
Ebbene, proviamo a immaginarci quella donna di Samarìa, che va (chi di noi ha una certa età l’avrà fatto al suo paese) per un’operazione quotidiana: prendere l’acqua al pozzo. Perché senza l’acqua non si può vivere. La donna compie un’operazione quotidiana e allo stesso tempo indispensabile. Però quel giorno accade qualcosa di assolutamente imprevisto. C’è un giudeo che la provoca con una domanda: “Dammi da bere”. Il Vangelo ci ricorda che tra Samaritani e Giudei non correva buon sangue, per motivi proprio di sangue ma anche per motivi di dio, di religione. Questa donna, quel giorno, si lascia provocare.Questo giudeo che la provoca, adagio adagio la conduce a leggere in profondità dentro quell’operazione quotidiana di andare a prendere l’acqua al pozzo. Le fa comprendere che lei ha una sete di vita, una sete di vita più vera. È la sete per esempio dell’amore: la donna aveva avuto cinque mariti e “quello che hai adesso non è tuo marito”. Una sete di vita e di relazioni: una donna così era giudicata male, come una peccatrice, da evitare. Insomma, quel giudeo che legge e accompagna la donna a leggere in profondità la sua vita (e la donna si lascia leggere, si lascia condurre) la porta a una sorta di constatazione: Sarà mica lui il Messia?
Ecco l’attesa della vita, il Messia. C’è un bellissimo segno che ci dice come questo incontro ha cambiato la sua vita: la brocca dimenticata. La donna la lascia lì, corre al villaggio a dire a tutti ciò che le è capitato. E questi vanno, ascoltano Gesù, “noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”.
Come ci dice molto bene Papa Francesco, proprio nell’introduzione dell’enciclica Evangelii Gaudium, “L’incontro con Cristo cambia la vita”. E allora carissimi, in questo tempo in cui volenti o nolenti siamo costretti a stare in casa, ad avere tempo, prendo spunto da una bella conferenza che ha tenuto un teologo milanese, e che mi è stata suggerita e che ho ascoltato volentieri. Abbiamo tempo: cosa farò in questo tempo, le cose della vita quotidiana? Però diceva, questo teologo, che c’è il tempo dell’orologio, ci dice che la giornata va dall’inizio alla fine. Ma c’è anche il tempo della vita, che dà, cercandone il senso, il valore, ciò che ti fa vivere. Ci si pone così in una condizione per cui il tempo non è qualcosa che ci si trova addosso e non si sa come impegnare. È invece una possibilità che ti è data e che fai tua, cercando di cogliere il senso vero della vita.
E allora, carissimi giovani e adulti, permettete che mi rivolga a voi oggi: stiamo vivendo un tempo che nessuno di noi si immaginava. Ci è capitato addosso. E allora, pensando in questi giorni, mi viene da dire così: In questo tempo, in questa urgenza che tutti ci sta toccando a diversi livelli, il Signore che cosa mi sta dicendo? Quale è la Parola che mi aiuta a cogliere in profondità il senso di questo tempo?
E lo dico immediatamente, perché purtroppo questa mentalità è molto diffusa, e lo dico non con le mie parole, ma con le parole dell’apostolo Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi”. Una volta di più, questa Parola dell’apostolo, Parola di Dio, dovrebbe spazzar via tutte quelle paure, tutte quelle angosce o quelle espressioni che si rifanno al castigo di Dio. La croce di Cristo, che andremo a celebrare nella prossima Pasqua, Pasqua di croce e di Risurrezione, è il segno storico eterno che Dio è per noi. Se Dio è per noi, dirà sempre l’Apostolo, “chi sarà contro di noi?”.
E allora mi pare che la domanda sia un’altra: non che Dio eventualmente mi sta castigando, ma che cosa mi sta dicendo dentro questa frattura del tempo e della società? Leggendo, sentendo messaggi, davvero noto che ci sono delle riflessioni, degli spunti molto belli, molto interessanti.
Mi scriveva ieri un amico: “Don, mi sembri un po’ pessimista”. Gli ho risposto che non sono né pessimista né ottimista. Cerco di essere realista: è passata la peste di manzoniana memoria, durante la quale si pregava, si facevano penitenze e processioni e la vita è ripresa come prima. Chi ha una certa età si ricorderà del ‘900, che ha segnato la nostra Europa con due guerre fratricide. “L’inutile strage, il suicidio dell’Europa”, diceva Papa Benedetto XV. Passate anche quelle, si ritorna come prima. Vedo in giro dei manifesti, con scritto “Andrà tutto bene”. È sempre bello sperare, ma non andrà tutto bene solo perché passerà il Coronavirus come passano l’estate, la primavera, l’inverno. E allora mi permetto di aggiungere che “insieme, andrà tutto bene”. Significa che in questo momento siamo richiamati più che mai; per esempio a rileggere la nostra libertà, di cui tutti siamo assetati. Ma una libertà senza solidarietà, senza responsabilità, è una libertà liberticida della propria e degli altri.
Allora “io resto a casa” non è una frattura isolazionista, è bensì un’attenzione, magari anche sofferta, problematica verso la propria vita e quella degli altri. Abbiamo sentito di quell’adulto della Croce Rossa, che operava al 118, morto per il Coronavirus. Sentiamo storie di medici, infermieri: gente che lotta. Davvero dobbiamo sentirci richiamati all’attenzione, al “mettersi per gli altri”, molto concreto; addirittura a costo della vita.
Ancora. Non possiamo risolvere i problemi con una mentalità chiusa al proprio Io, inteso anche come il mio circondario, il mio paese. Ormai la globalizzazione è una globalizzazione in tutti i sensi: “Qui ci salviamo tutti”, diceva un messaggino, “siamo tutti sulla stessa barca”. Ma remiamo tutti dalla stessa parte? Vediamo come un’economia sottomessa al profitto, ancora, decide della sorte di popoli. Provate a pensare a questi immigrati, che sono lì al confine della nostra Europa, in Grecia. Proviamo a pensare al bene dell’acqua; qualcuno già dice che sarà la causa di guerre future. È un bene per tutti, non per qualcuno. Ma ci sono milioni e milioni di persone che non hanno questo bene. L’acqua.
E allora termino, e vi invito a leggere il Capitolo di Luca, 13, versetto XI e seguenti. Sul quale tenne una famosissima veglia di preghiera del cardinal Carlo Maria Martini, in occasione della Prima Guerra del Golfo, nel Duomo strapieno di giovani e adulti. Ha commentato questo brano che racconta della gente che va da Gesù e dice “Pilato ha ammazzato tanti giudei con le sue legioni”, e Gesù risponde “perché pensate che quelli uccisi fossero più peccatori degli altri? No, ma se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo. E così per la Torre di Siloam che è caduta e ha fatto un sacco di morti, pensate che quelli erano più peccatori degli altri? No, ma se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”.
Avevamo forse in mente una nostra Quaresima con il nostro digiuno, con le nostre eventuali penitenze, con i nostri eventuali propositi. Avevamo in mente il nostro vissuto che va avanti, e questo Coronavirus ci ha letteralmente, oltre che esistenzialmente, sovvertito i piani. Ci sta sconvolgendo. E allora mi pare che la parola del Signore oggi, a noi che abbiamo sete di vita vera, sia questa: ritorna all’acqua che può dissetare, che è Lui, che è la sua Parola, che sono quei valori che stai vedendo nel vissuto di questi giorni, in tanti esempi. Non dire “passerà”. Non dire “andrà tutto bene”, “usciremo, siamo usciti dalle guerre e usciremo anche da questo”. Chiediti come usciremo. Signore, fa’ che questa sete di vita che ognuno di noi porta dentro di sé, trovi la vera acqua, non una bibita qualsiasi; una vera acqua per noi e per tutti. Fa’ che davvero possiamo uscire risorti, non con i buoni propositi, ma con scelte di vita vera. Altrimenti rischiamo che le nostre lacrime siano un po’ di coccodrillo. La donna di Samaria non ha pianto su di sé, ha detto a tutti “C’è colui che ci dà l’acqua vera, è il Messia, che ci dona lo Spirito, ci fa vivere”.
Preghiamo, perché pur dentro la sofferenza, i problemi, le difficoltà, davvero sia un tempo di acqua buona per la nostra vita. Io ne ho bisogno, magari anche voi.
don Vittorino Zoia