Comunità Pastorale
Aiutare a morire o a vivere? Una riflessione sul dibattito riguardo l’eutanasia
di Dario Beretta, Movimento per la vita
“…Agli illustrissimi signori capogruppo della camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Sono uno studente universitario di 32 anni affetto dalla nascita da un triplegia spastica a causa della quale sono disabile al 100% costretto su una sedia a rotelle. Mi rivolgo a voi attraverso questa lettera poiché ho appreso che in questo periodo inizia un dibattito parlamentare sul tema dell’eutanasia, e questa notizia ha destato in me un sincero timore… nella mia esperienza ..ho sperimentato quanto sia indifeso, impotente e vulnerabile un malato in un letto di ospedale. E non vedo per quale motivo i medici, viste le difficoltà economiche in cui versa il settore sanitario del nostro paese, le pressione sociale e quella che ricevono le strutture sanitarie stesse, debbano essere considerati esenti dalla tentazione di manipolare i pazienti, spingendoli a chiedere l’eutanasia…ritengo doveroso ricordare alle vostre persone che alcune misure legislative,un volta adottate, hanno un effetto a lungo termine spesso imprevedibile. In questo caso, però è già possibile osservare l’effetto di simili norme. Non è nuovo,tra gli altri, l’esempio dell’Olanda, nella quale l’eutanasia fu introdotta nel 2000 per gli infermi maggiorenni capaci d intendere e di volere e di farne richiesta scritta. Nel 2002 la possibilità di chiedere l’eutanasia è stata estesa anche agli adolescenti sopra i dodici anni,ritenuti abbastanza maturi per chiederla. Ormai il parlamento olandese e belga discutono l’estensione della eutanasia ai malati di mente e a quelli in terapia intensiva riservando la decisione ai medici. Tant’è vero che la società belga di terapia intensiva, in un articolo dal titolo “Piece of mind: end of life in the intensive care unit statement(febbraio 2014) propone l’eutanasia del paziente anche senza in consenso di questi…”.
Mi sembra che questa lettera, indirizzata ai capogruppo parlamentari da Lorenzo Moscon, pubblicata su Avvenire lo scorso 3 marzo,vada direttamente al cuore del problema che abbiamo davanti.
In apparenza la proposta di legge all’esame del Parlamento italiano riguarda altro. Si riferisce alle DAT, disposizioni anticipate di trattamento. È un’estensione del criterio del consenso informato alle situazioni in cui una persona può trovarsi nella incapacità di esprimere il suo parere sulle terapia che vengono proposte . Per questo è prevista la possibilità di indicare in anticipo le decisioni sul tipo di cure che intende accettare o rifiutare. La necessità del consenso informato del paziente è accettata da tutti. Il problema è che la proposta di legge prevede la possibilità di rifiutare anche l’idratazione e nutrizione in qualsiasi circostanza (non solo in caso di stato terminale). Per cui una persona morirebbe non per effetto della sua malattia ma per fame e sete. Si tratterebbe di una forma di suicidio assistito a richiesta. E non è prevista per i medici la possibilità di derogare a queste indicazioni,nè è prevista la possibilità di obbiezione di coscienza, per cui il medico sarebbe costretto a praticare in ogni caso questa forma di eutanasia passiva. Marco Cappato, in un intervento televisivo del febbraio scorso, aveva indicato chiaramente il progetto dei radicali: ottenere con le DAT la possibilità della sospensione delle terapie a richiesta in ogni caso, come primo passo, e arrivare nella prossima legislatura a una piena approvazione della eutanasia attiva. Il giurista Alberto Gambino,presidente di Scienza e Vita,in una intervista pubblicata su Avvenire lo scorso 28 febbraio,dopo la morte di Fabiano Antoniano (dj Fabo) avvenuta con il suicidio assistito in Svizzera,ha detto fra l’altro”…in Italia vige un sistema a impianto solidaristico:davanti a patologie e disabilità la carta Costituzionale ci indica la strada dell’accoglimento, del sostegno, dell’accompagnamento,del servizio,della cura. Non offre altri percorsi perché il principio cui è ispirata esprime una conquista di civiltà. Significa che non solo Fabo ma decine di migliaia di disabili in Italia non possono sentirsi un peso per la società,indotti a pensare che la loro non sia una vita piena di dignità… ”.
Dobbiamo chiederci cosa vogliamo “scrivere nelle nostre carte” (le leggi) riguardo ai malati gravi e ai disabili: il solidarismo per di aiutarle a vivere la loro “scomoda diversità” o l’invito a “farsi da parte “ una volta per tutte.