Comunità Pastorale
«Dopo 50 anni felice come alla prima messa»: il racconto di don Nello
Carissimi parrocchiani,
cinquant’anni di Sacerdozio sembrano tanti, ma quando si sono vissuti intensamente e con amore mi sono sembrati un soffio.
Dentro questo contenitore ci sta un pezzo della mia vita che certamente è importante.
Scrivo questi pensieri nel mio studio in silenzio, fuori è sera, è buio e l’unico rumore è quello di qualche macchina che passa sulla Via Adda davanti alla Chiesa.
Guardo a lungo il tableau con il volto dei miei compagni, dell’Arcivescovo che mi ha ordinato sacerdote e di alcuni superiori che mi hanno accompagnato e guidato lungo il faticoso cammino sacerdotale. E incomincio a contare: vedo che quindici compagni sono ormai entrati nel regno di Dio e alcuni pieni di giovinezza, pieni di entusiasmo, ma Dio li ha voluti con sé; vedo dodici compagni che hanno lasciato il sacerdozio per diversi motivi che solo il Signore sa e che non mi permetto certamente di giudicare. Per gli uni e per gli altri faccio una preghiera e nello stesso tempo faccio memoria della mia storia, del mio essere Prete, delle tante gioie e anche delle tante prove e problemi che in un primo momento mi sono sembrati più grandi delle mie forze; poi mi sono detto ogni volta: se Tu Signore mi hai chiamato, se Tu appena consacrato Prete mi hai messo a dura prova con una lunga malattia, Tu mi devi aiutare a superare tutto.
Ho scoperto che giorno per giorno seguendo Cristo non si sbaglia strada nella vita pur riconoscendo i propri limiti, le proprie debolezze e il proprio peccato.
Giovane parroco con due paesi e un nosocomio da seguire con l’inesperienza del compito affidatomi ho fatto appello a tutto il mio entusiasmo sfiorando qualche volta anche un po’ di pazzia per certe scelte un po’ avventate, ma era il tempo del sessantotto con i suoi problemi e anche con i suoi valori.
Ero consapevole di essere stato scelto dal mio Vescovo, anche se non so per quale motivo. Unico fra i miei compagni sono stato fatto parroco, e avevo ventisei anni; pensavo però alle parole di Cristo nel Vangelo di Giovanni “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”.
Fra i tanti problemi e la naturale esperienza dei primi anni di sacerdozio ho cercato di non dimenticare mai che prima di tutto il prete deve stare con la sua gente e per questo, come tale, a dispensare le grazie di Dio attraverso i sacramenti e la Parola di Cristo che dà vita.
Tutto questo mi ha affascinato fin da piccolo quando in terza elementare, diventato chierichetto, ogni giorno mi recavo in Chiesa a servire la Santa Messa (la mia Chiesa era grande e fredda come una ghiacciaia d’inverno, ma per fortuna fresca d’estate).
Ero un ragazzo vivace, mi piaceva giocare, aiutare il nonno nei campi; e così fra i tanti problemi personali a poco a poco cresceva in me il desiderio di entrare in seminario, quello che poi è avvenuto quando ero in quinta elementare.
Il resto l’ha fatto il Signore.
Mi sembrava impossibile riuscire nel mio sogno di diventare prete, anche perché nel mio paese nativo erano cent’anni che un giovane non aveva scelto di diventare sacerdote.
La vita in seminario era dura, la disciplina severa, gli studi estremamente esigenti, i professori bravi ma non ammettevano errori.
Ma nonostante tutto si era felici, contenti, con lo sguardo sempre fisso alla meta.
Aiutato dai superiori a volte troppo severi e dall’amicizia e dall’aiuto dei compagni finalmente è arrivato il 28 giugno 1966 giorno in cui il Cardinale Giovanni Colombo mi ha consacrato con 73 miei compagni.
Poi subito parroco dopo una settimana di coadiutore alla Snia Viscosa di Varedo e poi su su negli anni fino ad approdare nella Parrocchia di Sant’Albino e San Damiano.
Certo sarebbe troppo lungo raccontare la mia vita di prete anche perché non so se ne vale la pena.
Adesso che sono un po’ al capolinea devo dire che dentro il cuore sono felice come il giorno della prima Messa, perché è proprio ora che avendo sulle spalle cinquant’anni di sacerdozio capisco un po’ più cosa significhi essere prete in una società che certamente è secolarizzata e che forse non sa che farsene del prete.
Proust presentava l’uomo come pellegrino dell’eternità; ora il sacerdote penso sia proprio, o debba essere proprio, un testimone di questa eternità perché Dio l’ha voluto perché fosse bene o male un ponte tra il cielo e la terra.
Se posso chiedervi un favore con me e per me ringraziate il Signore per quanto mi ha dato e mi perdoni per quanto non ho saputo fare.
Grazie per questi anni passati con voi.