Cultura
Media Valle Lambrio, il parco (in)visibile raccontato dal regista Davide Gatti al San Giuseppe
Il cinecircolo Bresson propone per il 27 maggio alle ore 21 il documentario dal titolo “Il parco (in)visibile di Davide Gatti con Gianfranco Berardi.
La voce del regista
«Nel 2014 la direzione del Parco Media Valle Lambro ha pubblicato un bando un video documentario che raccontasse in modo originale un parco non convenzionale. Primavera Fumagalli e Guido Ingenito avevano partecipato in precedenza agli “Esercizi di Psicogeografia” organizzati dall’architetto Luca Ceccattini che allora era il presidente del PMVL (per maggiori dettagli: https://esercizidipsicogeografia.wordpress.com)
Io conoscevo molto poco del PMVL a quel tempo, abbiamo iniziato a ragionare su come raccontare un territorio particolare come quello, che in alcune porzioni era addirittura difficile definire “parco”. Facendo i primi sopralluoghi ci sono apparsi subito chiari gli aspetti di confine e limite tra città e comuni, ma anche di indefinibilità e invisibilità. Provo a spiegarmi meglio, era interessante che un territorio, nella periferia di ogni comune di cui fa parte, stesse col tempo riacquistando un’identità propria, sociale e geografica, che per molto tempo era stata smarrita. Quella periferia è in realtà il percorso del fiume Lambro. E’ un fiume dalla realtà molto problematica (è inquinato e puzzolente) che nella percezione di chi vive in questa area è quasi un intruso, un vicino scomodo. Ci siamo quindi chiesti come si potesse fare un ritratto di un parco partendo dai cinque sensi. Cosa toccano le mani quando vanno in un parco, quali odori e suoni si possono trovare. Da questo spunto sensoriale Guido ha proposto un’idea più radicale, avere un narratore non vedente che ci aiutasse in questa missione. Abbiamo quindi coinvolto Gianfranco Berardi, attore di teatro non vedente».
Il titolo del documentario
«Ricordo quel film in cui Totò arrivava a Milano, “la nebbia c’è e non si vede” una delle frasi più famose che disse. Il titolo Parco (In)visibile fa riferimento a Le Città Invisibili di Italo Calvino ma è per prima cosa la nostra percezione di un parco dall’estensione enorme (circa 600 ettari) ma nel contempo quasi nascosto, difficile da inquadrare. La geografia del Parco Media Valle Lambro è eterogenea e frastagliata. Quando una persona si immagina un parco, pensa a una bella cancellata o a un muretto perimetrale, superato il quale ci si ritrova immersi nella natura, alberi secolari, panchine e aiuole. I terreni che compongono il PMVL sono tanti piccoli tasselli recuperati nel tempo e la maggior parte di questi erano interessati dall’intensa attività industriale che nel secolo scorso ha caratterizzato tutta l’area, mi riferisco per esempio all’immensa area delle Acciaierie Falck (proprio in questi giorni tornata agli onori della cronaca per via dell’abbandono dell’architetto Renzo Piano al progetto di recupero) di cui alcune porzioni sono già parte del parco mentre altre sono destinate a rientrarvi. Mi ricordo il mio stupore nel sapere che gran parte della vegetazione intravista percorrendo la tangenziale Est era in effetti il PMVL. La tangenziale è infatti costruita seguendo il percorso del fiume e ogni giorno i migliaia di automobilisti che la attraversano, me incluso, entrano in contatto senza saperlo con questo parco non ancora conosciuto».
Al pubblico
«In realtà più che trasmettere un messaggio, spero di aver creato un ritratto del rapporto tra esseri umani e territorio. In tutti i miei lavori ho sempre cercato in un modo più o meno marcato di lavorare sul senso del tatto, sulla percezione materica degli elementi. Questo progetto è durato due anni, durante i quali sono andato e tornato negli spazi del PMVL talmente tante volte che adesso possiedo innumerevoli ricordi ed esperienze legati a essi. Proprio ieri sono tornato insieme a Umberto Punzi, primo operatore video del documentario, a fare una ripresa aggiuntiva vicino al Mulino di Occhiate e quel luogo ormai lo conosco nel dettaglio, e conosco diverse persone che ci abitano e un poco delle loro storie.
Spero che il pubblico riceva dal documentario l’idea di un luogo fertile per far nascere nuove esperienze e possa decidere di dare il proprio contributo per impegnarsi a migliorarlo e viverlo, per permettere di recuperare e bonificare del tutto quest’area. Molti lo stanno facendo, per esempio le Guardie Ecologiche che pattugliano il territorio e notificano eventuali problematiche, oppure i pensionati che hanno contribuito a realizzare gli orti della Bergamella a Sesto San Giovanni e che ora li mantengono lavorandoci con impegno tutto l’anno. O anche solo quei signori, lo vedrete nel documentario, che si ritrovano nei giardini di Via Pisa (a Sesto) a suonare con chitarra e mandolino alcuni loro componimenti. Quando ho incontrato Gianfranco Berardi gli ho chiesto di lavorare sull’assenza di limiti. Durante i suoi spettacoli a teatro Gianfranco è in grado di muoversi alla perfezione, sapendo sempre in che punto del palco si trova. Cosa avrebbe comportato il girovagare in questo territorio vastissimo e apparentemente senza confini definiti? Ho chiesto quindi a Gianfranco di agire in libertà, di lasciarsi suggerire l’azione dal contesto, dagli incontri casuali con le persone del luogo, di aprirsi nei loro confronti. Potrebbe essere un bel campo di prova per tutti».