Comunità Pastorale
Quaresima di carità, ai più soli a Betlemme
«I bambini palestinesi che hanno un cognome che termina in –allah hanno poche speranze: sono questi infatti i nomi assegnati a coloro che non sono stati riconosciuti dal padre, verranno discriminati e rifiutati per tutta la vita». Così Maria Rigamonti, volontaria brugherese che ha collaborato per quattro anni consecutivi con l’ orfanotrofio “La Crèche” di Betlemme, spiega la situazione che ha avuto modo di scoprire durante la sua esperienza.
La struttura, gestita dalle Suore di San Vincenzo de Paoli, accoglie tutti i bambini in condizioni di difficoltà: molti di loro sono stati abbandonati per strada in una scatola di cartone, altri lasciati dalle stesse madri che non avevano la possibilità di crescerli. Maria infatti racconta che alcune donne restano incinte a causa di violenze (in alcuni casi perpetrate dai loro stessi familiari) e si trovano costrette a nascondere la gravidanza per evitare di essere condannate a morte. L’ orfanatrofio accoglie queste donne e le protegge permettendo loro di lavorare e vivere all’interno della comunità fino al momento del parto.
Le suore poi si occuperanno dei loro bambini i quali, non avendo un padre, di fatto non hanno identità né diritti propri. I piccoli sono ospitati fino ai sei anni, dopo questa età è possibile per loro l’affido ad una famiglia (l’adozione non è prevista dalle leggi locali) o la permanenza presso altri istituti fino al compimento dei diciotto anni.
L’ orfanatrofio è gestito con molta cura ed è suddiviso al suo interno in spazi specifici dedicati alle diverse età, dalle sale con le culle per i neonati alle camerette per i bambini più grandi. Sono inoltre presenti delle stanze adibite alle attività motorie e allo sviluppo delle percezioni sensoriali che avviene nei primi anni di vita. L’asilo che si trova nella struttura è frequentato da tutti i bambini della “Crèche” e anche da iscritti esterni, in modo da facilitare l’integrazione.
In un paese dove la vita dei bimbi abbandonati è così difficile ed è quasi impossibile il loro espatrio, “La Crèche” è un vero faro di speranza; Maria racconta che spesso i ragazzi che hanno trascorso qui l’infanzia, raggiunta la maggiore età, tornano a chiedere aiuto alle suore: è questo «l’unico posto dove si sono sentiti amati».