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150 esimo, i 103 brugheresi morti nella Grande Guerra
Sono 103 i morti o dispersi di Brugherio nella Grande Guerra. E molti di più i mutilati ed invalidi, che da contadini quali erano non ritrovarono più la via dei campi, perché storpi, amputati e gravemente malati.
I caduti erano soldati semplici
Quasi tutti i caduti furono soldati semplici, schiantati nel fango delle trincee, trasformate dal tuono degli obici in tombe a cielo aperto, scavate anche dall’angoscia, o stramazzati ai piedi dei reticolati. In genere fanti, e in piccola minoranza artiglieri (di fortezza o campali), i soldati brugheresi contribuirono a disegnare con le loro grame esistenze la geografia dell’orrore e della mattanza. Morirono infatti sull’Ortigara, sul San Michele, lungo il fiume Piave e l’Isonzo, sul Carso, sull’Altopiano di Bainsizza.
Arrigoni, 41 anni, il più vecchio
Il più vecchio, il fante Fermo Arrigoni, cessò di vivere a 41 anni, a Milano, il 28 novembre 1917, dopo malattia, in seguito alle ferite riportate nel 68° reggimento fanteria “Palermo”, le cui divise azzurre e nere coprirono come un sudario striato di sangue le spelacchiate colline del goriziano.
Pastori, scomparso a 19 anni
Il più giovane, Ernesto Pastori (nato il 22 novembre 1899), del 21° reggimento fanteria, si spense nella primavera del 1918, in un ospedale da campo, dopo aver riportato ferite da combattimento nella difesa del Monte Grappa. Morì invece in prigionia, il 29 marzo 1918, il trentanovenne Erminio Galbiati, della 1240a compagnia mitraglieri Fiat. Un altro Galbiati, il ventisettenne Paolo, anche lui catturato dai nemici, esalò l’ultimo respiro il 20 agosto 1918, dopo aver fatto parte del 4° reggimento bersaglieri, che venne “disciolto” poche settimane dopo, avendo perso quasi tutti i suoi effettivi sul Badenecche (Altopiano d’Asiago).
Emilio Meani inghiottito dalle acque di Capo Peloro
Strano fu il destino di Emilio Meani, inghiottito l’11 maggio 1918 dalle acque di Capo Peloro (Messina) dopo che il Piroscafo “Verona” su cui viaggiava, stracolmo di disertori, venne silurato da un sommergibile tedesco. Circa un migliaio dei tremila membri dell’equipaggio non arrivarono a Tripoli, in Libia, dove i condannati dovevano scontare la pena dei lavori forzati a vita.